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Sulla diga di Grado

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Sulla diga di Grado

I tronchi bianchi di laguna sono
sogni scuoiati dalle onde.
Riportati sulla spiaggia
addossati al sole obliquo
sembrano volti ossuti,
saldati allo spessore
salmastro delle storie.

Voi tronchi dispersi
da quale schianto fuggite?
Qual era la vostra chioma
prima che vi imbarcaste?
E mentre mi siedo sugli scogli
tace nella ruggine una barca
e un airone si stacca dallo specchio.

Tutto quello che siamo
qui risuona e rasenta
l’espansione del mistero.
Tutto quello che siamo
nuota semi-sommerso
se la morte è questo
aspro morso di marea.


Ma se nei tronchi arenati
non sbiadisce il verde
applauso delle foglie,
noi non cederemo tutto
il calore accumulato.
Restituiremo le spoglie
ma non verseremo
che stralci di linfa
nell’infinito imbuto.

Qualcosa rimarrà appeso al tempo
e saremo io, e sarete voi;
come ninfee più leggere
del peso dell’acqua
spiccheremo fuori dal bordo,
appena fuori di noi.

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